Russia in Crisi: Le Implicazioni della Dipendenza dal Petrolio per gli Investitori del Settore Energetico

Russia in crisi? “A pensar male si fa peccato ma ci si indovina quasi sempre. Non è questo luogo in cui si fanno disamine alla Travaglio col Bignami in mano, ma tutta questa enfasi sulla minaccia russa ha qualcosa che non convince. Aggirando l’abile e necessaria propaganda di Mosca e facendo un’analisi oggettiva e sui numeri, ne viene fuori, con la conferma anche degli analisti di geopolitica, che la Russia al momento è una tigre di carta.

Inizia così l’analisi di Enrico di Miele, un commento che, pur non volendo addentrarsi in disamine politiche approfondite, solleva interrogativi cruciali sull’effettiva potenza russa e sulle sue implicazioni economiche, in particolare per gli investitori del settore energetico.

Doveva risolvere la questione Ucraina in un week end lungo invece ci sono voluti 3 anni per avanzare di 30 Km in Donbass, 2 mobilitazioni generali da 150000 uomini, 750000 perdite tra morti e personale inabile a tornare al fronte, reclutamento di mercenari da ogni dove finchè si potranno pagare, supporto di truppe nord coreane, stanno mandando in battaglia anche i feriti e portano i soldati al fronte con le auto civili requisite alla popolazione in quanto non hanno mezzi efficaci per contrastare la guerra dronica degli ucraini che ha decimato i corazzati per trasporto truppe, hanno una regione grande quanto Roma e provincia ancora sotto occupazione ucraina e non riescono a riappropriarsene e hanno dovuto riesumare carri armati risalenti alla seconda guerra mondiale.”

Questi dati, snocciolati con precisione, dipingono un quadro di difficoltà militare e logistica che stride con la narrazione di una Russia superpotenza.

Russia in Crisi: Un Gigante dai Piedi d’Argilla?

Le spese per la difesa non sono superiori a quelle di tutta la UE messa insieme, risulta che più della metà vanno in stipendi (altissimi) e il resto per aggiornamento materiale bellico e produzioni munizioni ma della costosissima manutenzione dell’arsenale atomico, non c’è proprio traccia nei numeri di bilancio e questo fa supporre che delle 6000 testate nucleari, ne abbia funzionanti e pronte all’uso non più di una dozzina, che intendiamoci, basterebbero quelle per l’apocalisse.”

L’analisi di Enrico Di Miele prosegue con un focus sulle spese militari russe, evidenziando come, nonostante l’imponente arsenale nucleare (la cui effettiva operatività è però messa in dubbio), la maggior parte del budget sia assorbita da stipendi e aggiornamenti, lasciando poco spazio alla manutenzione. Un campanello d’allarme per chiunque investa in un settore così strettamente legato alla stabilità geopolitica.

Aggiungiamo carne al fuoco: secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), nel 2023 la spesa militare globale ha raggiunto un nuovo record di 2.443 miliardi di dollari, con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente. La Russia, pur essendo il terzo paese al mondo per spesa militare (dopo Stati Uniti e Cina), ha visto un aumento del 24% rispetto al 2022, raggiungendo i 109 miliardi di dollari. Tuttavia, come fa notare Di Miele, gran parte di questa spesa sembra essere destinata a voci diverse dalla manutenzione dell’arsenale, sollevando interrogativi sulla sua reale efficienza.

Russia in Crisi: La Dipendenza dal Petrolio e le Sanzioni

Ha un calo demografico drammatico che gli fa perdere un milione di abitanti l’anno e una crisi economica che dopo 3 anni di sanzioni è diventata insostenibile, con la terza inflazione al mondo. Quello che esportano sono materie prime, ovvero merce povera che devono poi ricomprare quando gli ritorna sotto forma di automobili, smartphone e computer a causa di una programmazione economica disastrosa perchè oligarchica e che li fa ormai dipendere per il 52% dall’esportazione di gas e petrolio rispetto al solo 12% pre Putin e per le strade di Mosca e San Pietroburgo si vedono sempre più cinesi, che non sono affatto amici, tanto che la Cina nelle sue carte geografiche, ha cominciato a cambiare il nome delle città della Siberia con i loro nomi cinesi e gli ci vorranno almeno 10 anni per rifondare un esercito obsoleto che in Ucraina ha dato una performance da prima guerra mondiale e resettare generali e strateghi, vecchi tromboni incartapecoriti con una nuova generazione da far prima studiare ad Arward.

Il cuore del problema, per gli investitori, è qui: la russia in crisi economica, aggravata dalle sanzioni internazionali, è sempre più dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas. Questa dipendenza, aumentata esponenzialmente sotto la presidenza Putin, rende il paese estremamente vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi energetici e alle pressioni geopolitiche.

Pensateci: un paese che perde un milione di abitanti all’anno (un dato confermato anche da fonti indipendenti come The Moscow Times) e che registra la terza inflazione più alta al mondo (secondo il Trading Economics, l’inflazione in Russia ha raggiunto il 7,4% a febbraio 2024) è un paese con seri problemi strutturali. E questi problemi si riflettono inevitabilmente sull’economia e sui mercati. La russia in crisi è un dato di fatto.

La Russia in Crisi e la Riconversione Industriale: Un’Opportunità?

“Ed ecco che esce fuori il folletto maligno, perchè tra le persone più lucide e meno permeabili alla propaganda, inizia ad affiorare il sospetto che per compensare il tragico e definitivo fallimento del settore automotive in Europa, guerra persa a suon di regolamentazioni senza neanche combatterla, si voglia compensare la perdita di produzione e di eserciti di posti di lavoro riconvertendo parzialmente l’industria meccanica e automobilistica in industria bellica un pò come si sta facendo con il green deal, che andrà in parte a compensare la progressiva perdita di lavoro perchè sostituito dall’automazione. E anche secondo me è più di un sospetto, il problema è che quando sul pianeta cominciano a girare troppe pistole, prima o poi qualcuna spara e se spara una, sparano tutte. A pensar male…”

La riflessione finale di Enrico Di Miele apre uno scenario inquietante, ma non privo di possibili risvolti per gli investitori più attenti. La crisi dell’industria automobilistica europea, unita alla crescente automazione, potrebbe portare a una riconversione verso l’industria bellica, seguendo l’esempio del green deal. Questa trasformazione, se confermata, potrebbe creare nuove opportunità di investimento, ma anche nuovi rischi legati all’instabilità geopolitica.

La russia in crisi è, oggi, la protagonista di una profonda instabilità politica.

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